Una storia di famiglia
Condividi

Sulla costa toscana, il Golfo di Baratti evoca immagini di spiagge assolate e di un passato etrusco glorioso. Ma le acque di questo angolo di Toscana custodiscono anche un’altra storia, quella della pesca del tonno, un’attività che per secoli ha segnato la vita e l’economia locale.

Le famiglie di pescatori, con le loro reti e le loro barche, hanno intrecciato il loro destino a quello dei grandi pelagici, testimoni di un’epoca in cui il mare rappresentava non solo una fonte di sostentamento, ma anche un universo di saperi antichi e di rispetto per la natura.

Questa tradizione di pesca, tramandata di generazione in generazione, ha subito nel corso del tempo profonde trasformazioni, rispecchiando i cambiamenti sociali, economici e ambientali che hanno interessato il Golfo di Baratti.

All’inizio del XIX secolo, la famiglia Canessa, originaria di Genova e proveniente da Livorno, giunse a Baratti, attratta dalla fama di questo tratto di mare, generoso di pesce e riparo sicuro per le imbarcazioni.

I Canessa si dedicarono con passione alla pesca del tonno, utilizzando una grande rete da posta, la “tonnarella”, che divenne un tratto distintivo della loro famiglia.

Questa famiglia di “padroni del mare”, come venivano chiamati, non solo si distinse per la maestria nella pesca, ma contribuì anche a creare un vero e proprio immaginario collettivo legato alla tonnarella e al Golfo di Baratti, tanto che, fino a non molti anni fa, la gente del posto ricordava “i tempi dei vecchi Canessi”, quasi a voler evocare un’epoca mitica e irripetibile.

La tonnarella dei Canessa, a differenza delle grandi tonnare che richiedevano vasti spazi di mare e un numero elevato di uomini, era gestita interamente dalla famiglia e si estendeva per circa 150 metri dalla costa, in un punto in cui la profondità raggiungeva i 15 metri.

La rete, realizzata con fibre naturali come il cotone e la canapa, richiedeva una manutenzione costante e laboriosa, che comprendeva anche una periodica “bollitura” in acqua dolce con scorze di pino, per rafforzarne le fibre e conferirle il caratteristico colore bruno, adatto a mimetizzarsi con l’ambiente marino.

La pesca con la tonnarella, a differenza di quella con la tonnara, non prevedeva la “mattanza”. I pesci, infatti, rimanevano intrappolati nelle maglie della rete e venivano recuperati, spesso già morti, dai pescatori.

La tonnarella non era solo sinonimo di tonni, sebbene questi ultimi rappresentassero la preda più ambita. Nelle sue maglie finivano anche altre specie di pesce, come palamiti, squali, pesci spada e crostacei, che contribuivano a rendere la pesca varia e redditizia.

Tra le specie più comuni di squali figuravano lo smeriglio (Lamna nasus), la verdesca (Prionace glauca) e il capochiatto (Hexancus griseus).

Le catture di squali, soprattutto di grandi dimensioni, erano eventi eccezionali, che alimentavano storie e leggende tra i pescatori.

Si racconta, ad esempio, che alla fine dell’Ottocento, nella tonnarella di Vittorio Canessa, fratello di Emilio, finì un enorme squalo bianco, lungo tra gli 8 e i 10 metri.

Le palamite (Sarda sarda) erano una presenza costante nelle catture della tonnarella, soprattutto nei mesi estivi. Spesso, interi branchi di questi pesci finivano nella rete, garantendo un’abbondante pesca.

Tra le altre specie catturate figuravano pesci spada (Xiphias gladius), ricciole (Seriola dumerili), ombrine (Umbrina cirrosa), dentici (Dentex dentex) e storioni (Acipenser sturio).

La presenza di fondali rocciosi e di praterie di posidonia favoriva la cattura anche di crostacei, come aragoste (Palinurus elephas) e magnose (Scyllarides latus).

La varietà e l’abbondanza delle specie catturate testimoniavano la ricchezza dell’ecosistema marino del Golfo di Baratti in quel periodo storico.

Ai primi del Novecento, l’industrializzazione giunse anche a Baratti, segnando l’inizio del declino della pesca tradizionale.

L’estrazione delle scorie ferrose e la costruzione di nuove infrastrutture resero il mare un ambiente sempre meno ospitale per la fauna marina.

La tonnarella dei Canessa, un tempo simbolo di abbondanza e prosperità, divenne un’attività sempre meno redditizia, costringendo la famiglia a cercare nuove fonti di reddito.

Agostino, uno degli ultimi eredi della tradizione di famiglia, si adattò a trasportare merci e posta con la sua barca, mentre Emilio trovò lavoro come operaio nell’industria delle scorie.

Nonostante l’inquinamento crescente e le difficoltà legate alla pesca, nel 1937 una società di Camogli, guidata dall’ingegner Bozzo, decise di tentare la fortuna a Baratti, calando una nuova rete, più grande e complessa di quella dei Canessa, simile a una vera e propria tonnara.

Tuttavia, la pesca non fu redditizia come sperato. La torbidità dell’acqua, causata dal lavaggio delle scorie ferrose, e la diminuzione dei banchi di tonni, spinsero la società ad abbandonare l’impresa dopo soli tre anni. La tonnara fu smantellata nel 1940, segnando la fine definitiva della pesca del tonno a Baratti.

La storia della pesca del tonno a Baratti non è solo un capitolo di storia locale, ma rappresenta un esempio emblematico di come l’attività umana possa modificare profondamente l’ambiente e il paesaggio.

Il Golfo di Baratti, un tempo ricco di vita e di biodiversità, ha subito le conseguenze dell’inquinamento e dello sfruttamento intensivo delle risorse, perdendo progressivamente le sue caratteristiche naturali.

Il ricordo della tonnarella dei Canessa e della breve stagione della tonnara dei Camogliesi rappresenta un monito per le generazioni future, un invito a riflettere sull’importanza della sostenibilità ambientale e sulla necessità di preservare il delicato equilibrio degli ecosistemi marini.

 

Fonte: Vinicio Biagi, Memorie della “Tonnara” di Baratti 1835-1939 (1995).

© 2024, Valdicorniacult.it – Riproduzione riservata.

Condividi

4 thoughts on “La tonnara di Baratti

    1. Che le origini più antiche dei Canessa siano genovesi è storia nota. Girolamo, antenato dei nostri, fu un fervente patriota durante la Repubblica Ligure instaurata dal governo francese a fine Settecento. Nell’Ottocento però un ramo della famiglia si trasferì a Livorno, da dove, più tardi, partì la definitiva migrazione verso Baratti. Il primo ad arrivare fu Girolamo (nipote dell’omonimo giacobino), che mise su casa negli anni ’30 dell’Ottocento, sposando una Bettini di Populonia. Gli altri suoi parenti, rimasero a Livorno e, per raggiungerlo a Baratti, aspettarono che fosse unita l’Italia. Abbiamo tutto l’albero genealogico completo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

RIPRODUZIONE RISERVATA